Hai mai sentito parlare di Femvertising? Ti racconto qualcosa io, in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Prendilo come un regalo, come un’occasione di riflessione sull’argomento, come un approfondimento interessante che può aiutarti nella comprensione del mondo della pubblicità e del suo indissolubile legame con la società.

Il marketing (e quindi la pubblicità, che è parte integrante di questo mondo affascinante) è, come ti dico spesso, in costante mutamento: questo perché subisce e riflette i cambiamenti della società, le abitudini di consumo, i ruoli e le caratteristiche delle persone che la vivono e così via.

Ecco allora che la pubblicità si adatta alle tendenze della società e… nasce il Femvertising: approfondiamo insieme l’argomento!

Il fenomeno del Femvertising: cos’è

Il termine, coniato in realtà pochi anni fa, deriva dall’unione di feminism (femminismo) e advertising (pubblicità) e rappresenta “il femminismo di quarta ondata” che utilizza i social per far sentire la propria voce. Non è una novità, infatti, che i più recenti movimenti femministi sfruttino i media digitali per confrontarsi e per creare dibattiti di ogni genere. Lo scopo? Prendere posizione contro le campagne pubblicitarie colme e zeppe di cliché di genere… di quelle dalla simpatica tendenza di sessualizzare il corpo della donna.

Ecco perché nel 2014 nasce il Femvertising (finalmente!), la comunicazione inclusiva e priva di stereotipi… in cui nudo e sessualità si sdoganano senza mai risultare volgari. Come ti dicevo, la pubblicità si adatta -giustamente- alla società e alle sue tendenze: per questo il femvertising valorizza etnie e bellezze diverse, sta dalla parte dell’inclusività, vota per la body positivity e sostiene l’empowerment e la libertà di scelta femminile.

Ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo la storia: abbiamo un bel po’ di materiale da analizzare.

Donna e pubblicità nella storia: l’evoluzione

Da casalinga sottomessa a donna “oggetto”, dallo stereotipo ai giorni nostri: come si è sviluppata la figura della donna nella pubblicità?

Pubblicità anni Cinquanta e Sessanta

Nel pieno del dopoguerra e del boom economico, la donna viene rappresentata passivamente da due archetipi: la casalinga borghese e la mamma, rendendo evidenti le associazioni a prodotti per la casa, cibo, elettrodomestici e così via.

In questo periodo, la forma principale di pubblicità era quella sui giornali (o gli spot televisivi durante il Carosello della RAI): qui tantissime comunicazioni sfociavano in stereotipi sessisti che sottolineavano e rispecchiavano senza dubbio una società maschilista e patriarcale.

Un esempio? La pubblicità delle cravatte Van Heusen, in cui la donna è inginocchiata e intenta a servire la colazione a letto all’adorato marito.

Femvertising

Dieci anni dopo, una lieve progressione: la donna assume un ruolo attivo, pur mantenendosi mamma, cuoca, casalinga. Si nota nello spot della Barilla, in cui Mina (sì, la cantante, figura trasgressiva del tempo) recita “É la nostra pasta, la pasta Barilla, perché è fatta per il tuo uomo e per i tuoi ragazzi” e “In te c’è una gran cuoca, e Barilla la rivela.”

Pubblicità anni Settanta e sessualizzazione

In questi anni la donna diventa “femmena”, sensuale e seduttrice e il suo scopo si riduce a gratificare e attirare l’attenzione del suo lui, il belloccio senza tempo, l’uomo che non deve chiedere mai. È questo il periodo storico della “donna oggetto”.

Nelle pubblicità lei appare con sguardo ammiccante, posizioni opinabili e parti del corpo ben esposte fra minigonne e allusioni, perché “oltre le gambe c’è di più” ma al tempo, probabilmente, non lo sapevano.

Insomma, comunicazioni che erano continui connubi di doppi sensi, come quella della Peroni che punta sul vedo/non vedo per attirare l’attenzione del maschio alfa: il corpo nudo di una bella ragazza dietro ad un boccale di birra.

Femvertising

Pubblicità anni Ottanta, spiraglio di indipendenza femminile

Per i primi cinque anni del decennio, la figura della donna continua ad essere rappresentata in pubblicità come solo corpo, forma fisica, bellezza, seduzione: si parla di comunicazioni incentrate sulla depilazione, trucco, moda, sport e diete, rispecchianti una società ben precisa. Una società convinta che il bello stia nel magro, che sia privo di imperfezioni e inestetismi. Praticamente, o eri Cindy Crawfort oppure adieu.

Dal 1985, però, qualcosa cambia e nelle pubblicità appare una donna quasi indipendente, che si prende cura di sé ma non perché lo decidono gli altri, che scopre di poter fare carriera pur non essendo un uomo e che si libera sessualmente. Spuntano così i primi accenni di emancipazione femminile che si concretizzano, ad esempio, nella comunicazione di Banca Credito Italiano, in cui la donna è vestita di un elegante doppiopetto grigio tipico maschile. Eppure… le stava piuttosto bene!

Femvertising

Pubblicità anni Novanta e la donna eclettica

Crisi e recessione economica si riflettono sulle spese pubblicitarie, le differenze sociali si amplificano e le comunicazioni si rivolgono perlopiù a ceto medio-alti.

Adesso la donna è eclettica, poliedrica, versatile, multiforme: è autonoma, è libera, è imprenditrice… ma non solo. Può essere anche madre o casalinga, e la scelta dipende dal messaggio pubblicitario che si vuole trasmettere. Infine il corpo femminile, che ancora viene utilizzato ma con un’intenzione più consapevole.

Basta dare un’occhiata alla pubblicità Omnitel con Megan Gale, stupenda, che guida un’auto (incredibile!) ed è circondata da uomini che ammirano la sua bellezza. Ma questa volta ha un “gusto” diverso, non trovi?

Pubblicità anni 2000, cliché e polemiche

La pubblicità all’inizio del nuovo millennio sembra però fare un passo indietro: non si ispira più alla società, ma è la società che si lascia ispirare da ciò che gli spot comunicano, ideali di bellezza irraggiungibili che raccontano il magro, ancora una volta, come bello. È la pubblicità ora a plasmare i canoni estetici, a riprendere alcuni stereotipi di genere e in certi casi anche a erotizzare la violenza, questa volta non senza polemiche. È ciò che accade, ad esempio, nella pubblicità di Calvin Klein che sembra richiamare una violenza sessuale.

Femvertising

La donna e la pubblicità oggi: la chiave è l’inclusività

Dal 2010 in poi sono forti i sentimenti di parità di genere, rispetto sociale e inclusività: le pubblicità ora non trasmettono più un solo ideale di donna (quella perfetta), ma ammette anche l’imperfezione, la realtà, la normalità.

Nelle comunicazioni più moderne, le donne sono diverse e insieme anche le loro fisicità, con l’obiettivo di permettere alle spettatrici di potersi identificare, una volta per tutte, nelle infinite forme di bellezza.

Il Femvertising Award

Nasce così il Femvertising Award, un premio destinato ai Brand che sfidano le norme di genere e creano campagne pro-femminili con l’obiettivo di valorizzare finalmente la figura della donna dopo decenni di stereotipi. Uno dei vincitori fu il Brand Secret, che ha realizzato uno spot promuovendo il suo deodorante in collaborazione con la squadra nazionale di calcio femminile inglese: la campagna onora le donne che superano i confini per seguire le proprie passioni… senza “sudare” gli ostacoli che incontrano, celebrando lo spirito di squadra e il sostegno fra donne.

Una conclusione

Per quanto si possa pensare di vivere in un mondo incantato e progressista, ci tocca affermare che… sì, c’è ancora bisogno di Femvertising. La pubblicità è un canale di diffusione, è in grado di raggiungere milioni di persone e, come abbiamo visto, di influenzare e lasciarsi influenzare a sua volta. Il fenomeno del Femvertising è una guida per la coscienza e il mutamento della società che può davvero fare la differenza nel ruolo della donna: ecco perché i Brand devono prendere una posizione e devono assumersi la responsabilità di cambiare le cose, perché la donna sia indipendente, emancipata, senza se e senza ma… una volta per tutte.

“Si possono conoscere gli ideali di una nazione attraverso la sua pubblicità”
Norman Douglas

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